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23 MARZO, 2023

Il primo fondo comune della storia

 

 

Ma di cosa si tratta?

Immaginiamo un grande salvadanaio a forma di porcellino con dentro sia i nostri risparmi che quelli di altre persone. Chiediamo a una figura esterna di gestire il salvadanaio. Ecco, i fondi comuni funzionano così: sono strumenti di investimento gestiti da società di gestione del risparmio (SGR).

Le SGR raccolgono soldi da diversi risparmiatori e li investono in attività finanziarie come fossero un unico patrimonio. Per esempio, azioni, obbligazioni, titoli di Stato o immobili. L’obiettivo è cercare di ridurre i rischi. In pratica, aderendo a un fondo comune affidiamo i nostri risparmi a degli esperti che gestiranno l’investimento al meglio, grazie alla loro esperienza, cercando di diversificarlo. I fondi comuni si suddividono in tante parti dette quote che i risparmiatori sottoscrivono. Ognuno ha la sua quota e ogni quota garantisce gli stessi diritti.

I fondi comuni possono essere di due tipologie:

  • Aperti. I fondi aperti permettono di sottoscrivere le quote, o chiedere il rimborso, in qualsiasi momento. Solitamente investono in attività finanziarie quotate. 
  • Chiusi. I fondi chiusi, invece, permettono di sottoscrivere e richiedere il rimborso delle quote solo in un preciso momento. Di solito coincide con l’inizio e la fine dell’entrata in funzione del fondo. L’investimento si orienta verso attività non quotate. 

I fondi comuni sono nati proprio per avvicinare il mondo degli investimenti finanziari alle persone. Questa tipologia, come detto, permette a chi risparmia di contenere i rischi, attraverso la diversificazione, rispetto a un investimento sul mercato in un singolo titolo. Ma anche altri vantaggi. È possibile aderire a un fondo comune anche con piccole somme di denaro. La tassazione dei fondi d'investimento è una delle più vantaggiose tra tutti i prodotti finanziari.

I fondi e i loro gestori sono “prodotti” regolamentati, quindi chi aderisce ha la garanzia che il suo patrimonio sia al sicuro. Infine, c’è la questione della liquidità: se l'investitore decide di riscattare le sue quote può farlo quasi immediatamente (nel caso dei fondi aperti). Quando investiamo in quote di fondi comuni, va però chiarito, non abbiamo la garanzia di un rendimento certo o che ci torni indietro la somma investita inizialmente. Tutto dipende dall’andamento delle attività finanziarie su cui il fondo scommette, e quindi dei relativi mercati.

Ma quando e perché sono nati i fondi così come li conosciamo oggi?

 

Le origini dei fondi comuni

In Europa tra il Cinquecento e il Seicento furono introdotte per la prima volta le monete, o meglio, dei galeoni d’oro o d’argento. La loro diffusione portò a una vera e propria rivoluzione (rivoluzione monetaria). Le valute dei singoli Paesi vennero fissate sulla base dei due metalli, che potevano essere facilmente scambiati, custoditi e risparmiati. La rivoluzione monetaria ha inevitabilmente generato nuove necessità economiche. All’interno delle società iniziò a svilupparsi l’attività bancaria e con essa anche la volontà delle persone di “far fruttare” i soldi risparmiati. Per esempio, investendo nelle grandi compagnie delle Colonie, nell’agricoltura, nel commercio in generale e in debiti pubblici statali. Ed è proprio in questo periodo che sono nate alcune forme embrionali di fondo comune.

La “tontina”
Tra queste, c’era la “tontina”, una sorta di antica forma di assicurazione sulla vita. Il metodo prese il nome del suo inventore, Lorenzo de Tonti, un banchiere di origine napoletane vissuto nel 1600. Il funzionamento della “tontina” era semplice. Ogni partecipante alla “tontina” doveva pagare la sua quota d'ingresso. Il capitale raccolto veniva investito. Ogni partecipante riceveva gli utili derivanti dall’investimento fino alla sua morte. Quando un partecipante moriva, la sua quota del capitale veniva ripartita fra gli altri appartenenti alla “tontina”.

Quando tutti i partecipanti morivano, il capitale poteva essere impiegato in modo diverso a seconda degli accordi presi all’inizio. Lorenzo de Tonti propose al cardinale Giulio Raimondo Mazzarino e al Parlamento francese del tempo di emettere un prestito nazionale basato su questo meccanismo. In pratica, i partecipanti avrebbero dovuto dare allo Stato dei soldi (soldi che lo Stato avrebbe investito). Lo Stato, in cambio, avrebbe dovuto fornire a ogni partecipante una rendita vitalizia. Alla morte di tutti i soci, lo Stato avrebbe potuto rilevare l’intero capitale. Il primo esperimento di questa operazione finanziaria fu autorizzato dal cardinale Mazzarino nel 1653, riscuotendo tuttavia poca risonanza tra i risparmiatori francesi. In Italia le “tontine” furono disciplinate dalla legge del 1902, ma proibite un decennio dopo quando fu istituito il monopolio statale relativo alle assicurazioni sulla vita.

I prestiti alle piantagioni
I prestiti alle piantagioni furono un altro strumento con caratteristiche comuni ai fondi d’investimento. Nel 1753 la ditta olandese Deutz & Co iniziò a concedere dei prestiti ai proprietari di piantagioni nelle Indie Occidentali. I prestiti erano garantiti dai proventi delle stesse piantagioni. In pratica, Deutz & Co emetteva obbligazioni sul mercato olandese e usava il ricavato per concedere mutui ipotecari ai proprietari delle piantagioni. In cambio, loro spedivano i raccolti alla società, che poi li commerciava nei Paesi Bassi. In circa vent’anni nel mercato di Amsterdam vennero immessi quasi 200 prestiti alle piantagioni.

Eendragt Maakt Magt: il primo fondo comune della storia

La nascita del primo fondo comune della storia viene fatta risalire invece al 1774. Abraham Van Ketwich, un mercante e broker olandese, convinse diverse persone a sottoscrivere un negotiatie, cioè “un affare”, chiamato Eendragt Maakt Magt (pronuncia: Eːndrɑçt Maːkt Mɑçt; traduzione: “L’unione fa la forza”, che era il motto della Repubblica olandese).

A van Ketwich venne in mente di offrire a piccoli investitori la possibilità di diversificare i propri investimenti così da ridurre il rischio. Quest’ultimo, infatti, sarebbe stato distribuito tra vari investimenti, come obbligazioni emesse da Stati e banche estere e prestiti alle piantagioni nelle Indie Occidentali (vedi sopra).

Gli archivi comunali di Amsterdam conservano ancora oggi una copia manoscritta del “prospetto” dell’Eendragt Maakt Magt e una copia di un certificato di quota. Il documento contiene 17 articoli che descrivono la struttura del fondo, la formazione del portfolio, le commissioni di gestione e le politiche di payout.
 

Come funzionava l’Eendragt Maakt Magt?
La sottoscrizione era aperta a chiunque fino al collocamento di tutte le 2.000 quote. Dopo la sottoscrizione, la partecipazione al fondo era possibile solo tramite l’acquisto sul mercato aperto di quote cedute da partecipanti ancora in vita*. Agli investitori andava un dividendo pari al 4% (percentuale modificabile a seconda del rendimento annuo degli investimenti del portafoglio).

Il fondo includeva una dichiarazione contabile annuale che gli azionisti potevano richiedere di vedere in qualsiasi momento. Il negotiatie sarebbe stato sciolto dopo 25 anni. I proventi della liquidazione sarebbero stati distribuiti tra le persone ancora in vita. *Sulla base delle regole di partecipazione al fondo (numero fisso di quote), l’Eendragt Maakt Magt oggi sarebbe classificato come fondo d’investimento chiuso.
 

Come funzionava la gestione e formazione del portafoglio?
I commissari del negotiatie erano due, tali Dirk Bas Backer e Frans Jacob Heshuysen, e il loro compito era di controllare le politiche d’investimento del fondo. Abraham van Ketwich (gestore del fondo) aveva l’obbligo di gestire quotidianamente il fondo. Il “prospetto” prevedeva 10 potenziali categorie di investimenti. I titoli erano rappresentati da obbligazioni internazionali oppure da prestiti a piantagioni raggruppati geograficamente.

Il documento imponeva la diversificazione continua del portafoglio (le 2.000 quote erano suddivise in 20 classi; il capitale di ogni classe doveva essere investito in un portafoglio di 50 obbligazioni; ogni classe doveva consistere in almeno 20-25 titoli diversi). Per i suoi servizi, il gestore prendeva una commissione dello 0,5% al momento della costituzione del fondo più un compenso annuale di 100 fiorini per classe.
 

Diffusione del fondo e giorni nostri
Il modello di van Ketwich ha ottenuto popolarità in Europa Occidentale tra la fine del 1700 e il 1800, arrivando in America solo verso fine secolo. Il primo fondo comune moderno, il Massachussets Investor Trust (MIT), è stato costituito a Boston nel 1924 ed è ancora oggi attivo. All’inizio, i fondi comuni sono stati creati per “convenienza”. I risparmiatori non avevano il capitale necessario per costruire un portafoglio diversificato né le conoscenze per investire i loro soldi. D’altro canto, il nome del primo fondo comune era proprio “L’unione fa la forza”.

Oggi gli strumenti finanziari utili ai risparmiatori, come i fondi comuni, nascono dalla necessità di garantirsi una vita tranquilla e più serena. Possiamo vederli come un salvagente per il futuro.
 

Ma a chi devo rivolgermi se voglio aderire?
Le quote dei fondi comuni di investimento possono essere acquistate da intermediari finanziari. Questi possono essere: sportelli bancari, consulenti finanziari, private banker o promotori finanziari. È anche possibile acquistare i fondi rivolgendosi direttamente alla SGR di riferimento.

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